Quando il partner sessuale è un animale

Nella nostra cultura la zoofilia, insieme alla necrofilia e alla pedofilia, incarna l’incomprensibile e l’inaccettabile del variegato ventaglio delle declinazioni della sessualità umana. Non si tratta tuttavia di una moderna degenerazione del sessuale, poiché i rapporti tra umani e animali si rintracciano nella gran parte delle mitologie e religioni dell’antichità. Pensate agli esseri leggendari metà uomo e metà animale, spesso assunti a divinità e più spesso frutto di accoppiamenti zoofili. Per quasi tutti gli dei greci si narra di unioni sotto forma di animale con un mortale (in questo certamente Zeus eccelleva) e tra gli umani non possiamo non citare la regina di Creta Pasifae, moglie di Minosse, che si innamorò perdutamente di un toro bianco cui si unì carnalmente, con la complicità di Dedalo, partorendo il Minotauro. Su questa vicenda così chiosa il sommo maestro nel canto XXVI del Purgatorio: «Nella vacca entra Pasifae, perché ‘l torello a sua lussuria corra». Pasifae, infatti, per accoppiarsi con il toro si era fatta costruire una vacca di legno cava nella quale entrare per consumare il rapporto. 

Anche il Medioevo cristiano è popolato da esseri nati da incroci mostruosi, quali il lupo mannaro (metà uomo e metà lupo) e il vampiro (metà uomo e metà pipistrello), che però annunciano e denunciano il sopravvenuto senso di colpa relativo a tutto ciò che rimanda all’accoppiamento uomo/animale. Anche l’antica religione giudaica, nel suo aborrire la mescolanza, condanna come colpa gravissima l’accoppiamento umano/animale e indica nella messa a morte la giusta punizione: «Se una donna si accosta ad una bestia per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte» (Levitico 20, 15-17). Posizioni, queste, diverse verso la liceità dell’atto ma che indicano tutte antiche propensioni zoofile.

Avvicinandoci al nostro tempo, la pratica zoofila ha smarrito l’elemento sacro, rituale o mitico e acquisito un profilo più marcatamente erotico. Così ci appare l’interesse, esploso nel XVIII secolo, per i cagnolini da salotto anche denominati «cagnolini da grembo» non tanto per il fatto di essere tenuti in grembo da dame ben agghindate quanto funzionalissimi alla pratica del cunnilinguo a cui venivano destinati. Un caso del tutto differente è costituito dai rapporti sessuali del pastore con un animale del suo gregge o del contadino con una bestia della sua stalla, pratica ancora oggi riscontrabile in condizioni di forzato isolamento e arretratezza in certe zone rurali. Come nota letteraria ricordo che accoppiamenti di questo genere sono descritti nel romanzo autobiografico Padre Padrone di Gavino Ledda pubblicato nel non così lontano 1975. In questi ultimi due esempi il ricorso agli animali sembra avere nel primo caso (bestiole come strumento di piacere) una finalità esplorativo-edonistica, nel secondo (animali in contesti rurali) appare invece più un adattamento comportamentale in mancanza d’altro – comportamento quest’ultimo cui nei manuali di diagnosi non è conferita alcuna dignità diagnostica.

Una ricerca dei primi anni 2000 (Zoophilia in Men: A Study of Sexual Interest in Animals. Archives of Sexual Behaviour, December 2003, Volume 32, Issue 6, pp. 523–535), che ha sottoposto un questionario a 114 uomini che si sono definiti zoofili (93%) e che frequentano siti zoofili, apre a una comprensione un po’ più scientifica e meno anedottica dell’argomento. In questo studio il 79% del campione non ha mai avuto un partner umano e solo il 34% di questi vive in zone rurali. Tra i fattori favorenti l’inizio e la continuazione delle pratiche i più decisivi sono risultati essere: l’occasione (vicinanza ad animali domestici o d’allevamento); il non essere fisicamente attraenti e la correlata mancanza di opportunità sessuali; la mancanza di interesse sessuale per partner umani; l’essere in stato di ebbrezza alcolica; l’aver già sperimentato come più positiva un’interazione sessuale e affettiva con un animale rispetto a quella con un umano. Tra coloro che praticano regolarmente sesso con un animale, questi nel 51% dei casi è un cane e nel 37% un equino (per lo più un ruolo passivo con i cani e attivo con gli equini). La scelta del sesso dell’animale sarebbe in linea con l’orientamento sessuale dei soggetti. Nel campione esaminato l’esordio dell’attività sessuale parafiliaca risale per lo più all’adolescenza e si correla alla solitudine e alla carenza d’affetto. L’appagamento sessuale conseguente alla pratica zoofila sarebbe solo il rinforzo positivo per il suo mantenimento. È un mezzo colpo di scena: uno dei comportamenti sessuali più riprovevoli sembra originare dalla miseria relazionale più che dalla lussuria. Ma non è sempre così, le fantasie sessuali zoofile sono spesso parte del bagaglio fantasmatico di chi è incline al sadomasochismo, ove l’atto di avere un rapporto sessuale con un animale è percepito come degradante e umiliante, e pertanto eccitante. In questi casi è di solito un master che impone al suo slave di avere rapporti sessuali con un animale.

Rapporti sessuali saltuari con animali si possono riscontrare poi nelle storie di quelle persone, spesso donne, che non sono in grado di operare una corretta distinzione tra ambito affettivo e sessuale. Oppure possono essere il riflesso di un eccessivo bisogno di sessualità che può rivolgersi in modo indifferenziato verso uomini, donne e anche animali. Ma non è tutto, esiste una zoofilia sadica (criminale in quanto attuata su esseri viventi non in grado di dare un consenso) innervata dall’aspirazione di andare oltre il limite, in una dimensione dove tutto è possibile e dove l’animale diventa il ricettacolo dello sfogo delle pulsioni aggressive/sessuali in un ambito di extraterritorialità etica. L’animale è muto, non può denunciare il suo violentatore, è indifeso e non si può ribellare. In questo senso l’animale è adatto per dare corda alle pulsioni distruttive. Alcuni testi psichiatrico-forensi impiegano il termine «bestialità» per descrivere gli atti di crudeltà a sfondo sessuale nei confronti di animali spesso riscontrabili nelle anamnesi di soggetti con Disturbo Antisociale di Personalità, negli psicopatici e nei serial killer.

Insomma, le persone che sperimentano o preferiscono questo tipo di attività sessuale sono psicologicamente assai diverse fra loro, come pure mosse da motivazioni e bisogni differenti. Non esiste lo zoofilo ma la persona che pratica un comportamento, ai più ripugnante, non etico (ma quanto siamo etici in genere con gli animali?) e figlio della lussuria, della cattiveria e talvolta della miseria della solitudine.

CR