L’avarizia e la sua nuova veste
Avarizia: a pensarci questo è un termine caduto un po’ in disuso.
Oggi è raro sentire qualcuno lamentarsi di avere a che fare con un avaro. Infatti l’icona dell’avaro, l’Arpagone di Molière, che sottopone a digiuni i propri familiari, che adora la “cassetta” dove custodisce il suo patrimonio, che organizza le unioni dei figli solo in base al criterio economico, ci appare lontana.
Lo è, ma solo in apparenza, perché l’avarizia oggi indossa vesti nuove: per esempio l’essere single quando ciò è una scelta. Meno responsabilità, nessuno a cui davvero rendere conto e più tempo per se stessi: ecco il nuovo modo d’essere avari.
Vediamo meglio: l’avaro nell’accezione classica è risucchiato dalla spinta a volere, possedere, conservare e trattenere tutto; la sua passione, tuttavia, travalica il denaro, gli oggetti e, in generale, la “roba”, per usare il gergo di Mazzarò, il famoso avaro della novella di Giovanni Verga.
La meta ultima dell’avaro, infatti, è custodire la vita, accumulare quanto più si può della vita, perché essa non sia dispersa, perché non sia mancante di nulla. Per fare questo bisogna vigilare, evitare perdite e, ogni impresa umana, compresa quella dell’amore, angoscia l’avaro poiché lo espone all’aleatorietà ingovernabile dell’esistenza.
Meglio ritirarsi, meglio trattenere più che assumersi il rischio dell’iniziativa. Certo, questo è un movimento paradossale perché per mettere al riparo la vita la si trasforma in cosa morta. La spinta avida al possesso e al trattenere, infatti, non raggiunge mai la soddisfazione e dà luogo a un’inquietudine assillante che soffoca la vita stessa. Questa è la dinamica profonda dell’avarizia che si è tradizionalmente espressa nel movimento di trattenere “le cose”.
Ma oggi “le cose” non sono che beni di consumo, hanno smarrito il significato simbolico in origine assegnatole; oggi ciò che è prezioso è “il tempo”. Siamo, pertanto, diventati avari del nostro tempo, che deve diventare “tempo di godimento” piuttosto che essere speso nel prodigarsi per qualcuno che, bisognoso del nostro tempo, lo sottrae al godimento assurto a ideale di vita.
Ecco perché la coppia è divenuta oltremodo fragile; ecco perché i figli sono diventati un impiccio; ecco perché l’essere single si è innalzato a modello di vita. Un modello in cui il tempo, quello nostro, deve collassarsi in un godimento perpetuo e gli Altri, quelli che ci stanno intorno, sono, al più, appetibili come “compagni di merenda”, e aborriti non appena intralciano il libero dispiegarsi del nostro tempo, come fatalmente accade nella “sfida del due” che innerva l’impresa dell’amore.
CR