Come la mente aggira l’azione antisessuale dei nostri conflitti

Le fantasie sessuali sono figlie di un trauma, di qualcosa che per noi ha fatto evento o meglio di una relazione traumatica che si è dipanata all’interno della relazione con i nostri genitori. Faccio perciò cenno a uno dei classici scenari traumatici in cui si dibatte il bambino, non l’unico ma il più emblematico. Accade che per un periodo piuttosto prolungato della sua esistenza il bambino sperimenti un desiderio confuso verso il genitore del sesso opposto, provi invidia per il fatto che il genitore del proprio sesso goda sessualmente dell’altro genitore, provi gelosia per il genitore del sesso opposto che trae piacere dalla relazione con l’altro che lui/lei (bambino) non sono competenti a fornire. È ovvio che il bambino non si pone la questione in modo così crudo e didascalico, ma comprende a un certo punto i genitori hanno una relazione speciale, ricercata, da cui è in ultima analisi escluso. E appunto il sentimento di esclusione è una delle matrici, forse la più diffusa, delle nostre fantasie sessuali. Vediamo più in dettaglio le implicazioni sessuali di quella dolorosa esperienza della vita infantile che è il sentirsi esclusi dalla diade genitoriale. Che i bambini abbiano una particolare sensibilità all’esclusione è noto ed è dimostrato dall’elevato conformismo che li caratterizza: vogliono essere come i loro pari e, se anche si differenziano da essi per qualche qualità, preferiscono non farne troppo sfoggio.

Perché tutto ciò? Perché questa attenzione a non distinguersi? Perché hanno già subito una dolorosa e cruciale esperienza di esclusione che ha frantumato la loro illusione di relazione perfetta e bastante a se stessa con la figura di accudimento primaria, che è di solito la mamma.  Voglio dire che l’esperienza dell’esclusione, patita nell’infanzia a inconsapevole opera dei genitori, ne porta con sé un’altra nella vita adulta: la sensazione che un terzo sia irrimediabilmente incluso nella relazione di coppia. Questo sentire, che abita tra le pieghe della nostra mente quando eleggiamo qualcuno a nostro partner, è un problema o un dono a seconda di come verrà gestito. Vale a dire che se nel letto siete due, tra le pieghe della mente avete la percezione di essere in tre e iniziate a temere che, come allora, sarete voi a essere di nuovo esclusi. Non vi aiuta neanche l’affettuosità e la devozione del partner, perché ciò che realmente pensa – soprattutto quando fa l’amore – resta un mistero. Perciò, più o meno consapevolmente, ci percepiamo come satelliti rispetto al nostro amato, anche quando lui non ce ne dà ragione, e dentro il nostro pentolone emotivo ribollono rabbia e tristezza, figlie della gelosia, che a sua volta è stata generata da quella sensazione di esclusione patita da piccoli. Ovviamente nessuno percepisce le cose in modo così chiaro, così netto, quando ne è coinvolto, per far chiarezza è necessario un lavoro psicoterapeutico. In realtà, quel che viene denunciato è un certo disagio quando si è coinvolti in un contesto sessuale. La soluzione a questa difficoltà, in cui si riverbera il dolore provocato dalla prima esclusione, è una sorta di mise en place dell’antica esperienza traumatica. Per chiarire provo a spiegarvi come la mente aggira la potenza antisessuale del timore di esclusione. Funziona in questo modo: ciò che vi ha fatto soffrire e deprimere è scoprire/capire che la mamma non è più a vostra esclusiva disposizione (il che per inciso non è un male), che nella sua mente c’è spazio anche per qualcun altro oltre voi e che esiste quindi una terza persona (e poco importa che sia il vostro papà) che si è introdotto nel vostro rapporto esclusivo. Ma ciò che vi fa veramente arrabbiare non è tanto che lei – la mamma – non sia più a vostra esclusiva disposizione, quanto che abbia scelto come oggetto di tenerezza e desiderio qualcun altro. Voi direte: va bene, ma cosa c’entra tutto ciò? Se anche tutto questo fosse vero, sono eventi accaduti tanto tempo fa. Sì, sono cose che appartengono al passato, ma continuano ad abitare dentro di voi in luoghi a cui la coscienza non ha accesso. Sono esperienze rimaste vive poiché traumatizzanti e per le quali non è stato possibile a quel tempo trovare rimedio. Quando poi, anni dopo, vi ritrovate in contesti affettivi adulti che richiamano quelli passati, questo modulo emotivo (rabbia, tristezza e gelosia insorti allora all’ingresso del terzo reale) congelatosi negli anfratti in ombra della mente si riattiva, inquinando il nuovo contesto relazionale amoroso: adulti, in una storia nuova, animata da emozioni antiche, dolorose e non risolte, che inibiscono la capacità di lasciarsi andare nella sessualità. Come si fa d’altronde a fare l’amore avendo la percezione di non essere i prescelti? L’antica ferita inibisce così il potenziale desiderio sessuale. Ma i più sanno escogitare la geniale soluzione: è una creazione che permette di eludere la rabbia e la tristezza e ciò è possibile poiché il trauma dell’esclusione viene inglobato in una fantasia che consente di eludere il suo potere inibente. Un esempio? Alcune persone si eccitano (soprattutto o soltanto) nell’immaginare il proprio partner nelle braccia di un altro. Apparentemente riproducono in fantasia la stessa situazione che li ha feriti: sono esclusi dal partner godente, proprio come un tempo sono stati messi da parte dal loro genitore di riferimento. Eppure in questo caso la rappresentazione mentale del partner godente con un altro diventa fonte di eccitamento, di piacere e non più di rabbiosa gelosia come in passato. Infatti ora, a differenza di allora, sono diventati i maître du jeu e ne tirano le fila. L’importante è che il partner nella fantasia o nella realtà sia complice; il terzo in questo modo transita dal ruolo di vincente/escludente a quello di personaggio «stupido» (a cui si offre l’esca del corpo dell’amata/o) e, in buon conto, vittima della trama ordita dalla coppia. Ecco un esempio di come la mente può aggirare l’angoscia inibente dell’esperienza traumatica infantile dell’esclusione.