La malattia depressiva e la forza di volontà

La depressione non è di certo un disturbo raro. Secondo le previsioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), la depressione sarà uno dei disturbi più diffusi al mondo entro il 2030. Insomma, quasi un’epidemia. Eppure altre indagini rilevano che solo il 30% delle persone affette da un malessere nosograficamente inquadrabile come Disturbo Depressivo riceve cure adeguate e, quando questo accade, di solito con un ritardo di anni.

La depressione si presenta come un disturbo caratterizzato da tristezza, sensazione di vuoto interiore, perdita di interesse, incapacità di trarre piacere dalle cose della vita, senso di colpa, di autosvalutazione, difficoltà nel prendere sonno e/o risveglio precoce, ansia, disappetenza, astenia e scarsa capacità di concentrazione. Il disturbo tende ad avere un decorso ricorrente e gli episodi nel tempo diventano più gravi e di durata maggiore, con una sostanziale compromissione della capacità di prendersi cura di sé, delle proprie responsabilità relazionali e professionali e di tutti i problemi che ne conseguono. Sullo sfondo di questo variegato quadro clinico si può anche riscontrare ideazione di morte, se non suicidaria.

Per quanto riguarda l’eziopatogenesi del Disturbo Depressivo, una teoria unitaria non è stata a oggi definita, ma appare evidente che in essa convergono fattori biologici, psicologici e ambientali che ne influenzano l’esordio e il decorso. Le opzioni terapeutiche comunemente impiegate sono: la psicofarmacoterapia e la psicoterapia, di solito in associazione alla prima. Altre opzioni quali la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e la terapia elettroconvulsivante (ECT) hanno invece applicazioni di nicchia. Il trattamento di uno stato depressivo che risponde ai criteri di un Episodio Depressivo Maggiore deve quindi prevedere un trattamento psicofarmacologico, come previsto dalle più accreditate linee guida internazionali (American Psychiatric Association, British Association for Psychopharmacology, Canadian Psychiatric Association, Agency for Health Care Policy Research, Food and Drug Administration, European Medicinal Evaluation Agency), in assenza del quale si potrebbe configurare uno stato di negligenza professionale. Un supporto psicoterapeutico deve altresì essere valutato considerando lo stato di gravità dell’episodio depressivo, l’età del soggetto, il suo livello culturale, le sue aspettative e, non ultimo, la sua inclinazione all’introspezione. La cosa davvero importante è non pensare che se ne esca con la sola forza di volontà, perché se questa bastasse non sarebbe necessario un trattamento medico e psicoterapico. Putroppo in questo fraintendimento cade ogni soggetto depresso a causa dei consigli di chi, non conoscendo la depressione ma avendo conosciuto la tristezza come tutti, confonde le due differenti situazioni. «Devi uscire, svagarti, non devi fare pensieri negativi, devi pensare positivo!». Così, nel tentativo di seguire questi buoni indirizzi, il depresso si schianta due volte: per stanchezza, perché il disturbo lo porta a stare nel letto o sul divano, mentre ogni cosa da fare sembra un’impresa; per l’accentuazione del senso di colpa, perché non riesce a fare ciò che gli altri hanno fatto quando erano in crisi – e non depressi – traendone beneficio.

Tutto corre sull’equivoco depressione/tristezza e sull’illusione tipica della modernità, cui tutti siamo un po’ partecipi , secondo cui «volere è potere» e ognuno sarebbe arbitro del suo destino. Ci appare assurdo essere traditi dalla nostra mente, che all’improvviso si orienta verso il polo del pessimismo più nero, ed eccoci quindi a rincorrere un evento avverso che spieghi, che giustifichi lo smarrito fluire della nostra esistenza. Ciò differisce il tempo della presa in carico, poiché sembra più accettabile assistere all’insterilimento della vita piuttosto che accettare la contingenza di un disturbo verso il quale ci sentiamo impotenti, disarmati e contro il quale la nostra forza di volontà non può nulla.

CR