A che cosa serve l’esperienza psicoterapeutica?

Ogni giorno vengo consultato da persone che stanno male, persone in crisi e attanagliate dall’angoscia, che non sanno decidere. I più sembrano già sapere che la psicoterapia è il trattamento giusto per loro. Come se fosse la «cura di parole» che permette di guarire il sintomo che piaga e piega la loro esistenza. Parole che avrebbero, come i farmaci, il potere di spegnere la sofferenza.

Ecco, non bisogna colludere con questa concezione diciamo «medica» della psicoterapia. La psicoterapia è altro. La posta in gioco in un’esperienza psicoterapeutica non è il silenziamento del sintomo e neppure la ricerca ermeneutica del senso delle cose. La vera esperienza psicoterapeutica mira, nel suo più radicale compimento, ad aiutare la persona a guardare la miseria della propria solitudine, così da permetterle di rischiare la costruzione di legami fecondi, condizione ineludibile per accedere a una dimensione generativa dell’esistenza. Infatti, solo se si conosce la solitudine e la perdita si può dare valore all’Altro.

Perciò la psicoterapia non è propriamente una cura ma piuttosto un’esperienza. Il dovere etico dello psicoterapeuta è di aiutare l’interlocutore a capire la portata di ciò che chiede piuttosto che colludere con la sua domanda onnipotente, piuttosto che porsi come colui che fa con le parole quello che lo psichiatra fa con i farmaci.