Sull’uso improprio delle ricerche scientifiche

Oggi per sostenere una tesi è necessario un avvallo. Ma questa è a dire il vero una storia vecchia, ben riassunta nella locuzione Ipse dixit, ovvero ciò che dico corrisponde a verità perché già detto da una voce autorevole e quindi non più discutibile. Il detto latino compare nel De Natura Deorum di Cicerone, che parlando dei pitagorici ricorda come fossero soliti citare la loro somma autorità, Pitagora, con l’espressione in questione.

Nel Medioevo l’autorità non è più Pitagora ma Aristotele. Secondo l’intepretazione di Averroé, il più importante studioso arabo del filosofo di Stagira, Aristotele afferma in forma scientifica le stesse verità esposte nel Corano e pertanto «il pensiero aristotelico non va interpretato ma accettato». Da allora per sostenere una tesi diventa necessario sottolinearne le assonanze con il pensiero del grande filosofo. E oggi qual è l’autorità che incarna il nostro inossidabile bisogno di appoggiarci a qualcuno per sostenere un’idea, foss’anche strampalata? Ovviamente la Scienza, la ricerca scientifica. Qualsiasi tesi si voglia promuovere è necessario che sia dotata dello smalto della scientificità. Insomma, evochiamo la scienza per imporre la nostra visione. Pitagora e Aristotele hanno perso credibilità, la nostra verità deve avere fondamento scientifico per avere forza. Ecco la deriva feticistica dell’uso della scienza. Si sottolinea la «scientificità» della propria convinzione ideologica e a conferma di ciò si cita qualche ricerca scientifica e il suo link per corroborare la verità di quanto sostenuto.

Per quanto attiene al mio specifico di medico psichiatra questo è il caso tipico dell’uso strumentale delle ricerche scientifiche che, spesso mal interpretate, vengono per esempio utilizzate dai profani per criminalizzare l’uso degli psicofarmaci e di coloro che li somministrano. Faccio un esempio. Una lettrice in risposta a un mio post su Facebook posta il link di una ricerca scientifica che evidenzia una correlazione tra uso di farmaci antidepressivi e aumento del rischio suicidario. Questa lettrice, «scovata» la ricerca, la esibisce come prova inconfutabile – poiché scientifica – a sostegno della sua convinzione: «Le terapie psicofarmacologiche sono pericolose e chi li somministra è in malafede”. Qui siamo nel cuore della faccenda, ovvero l’improprio utilizzo delle ricerche scientifiche per corroborare le proprie convinzioni, anche quelle intrise di pregiudizi e anche quelle folli.

A beneficio dei feticisti della scienza – è noto che il feticcio vela qualcosa che non si può dire, in questo caso l’ignoranza – ricordo che con l’avvento della rete sono apparse una serie di riviste scientifiche online. Molte di queste hanno adottato una politica di open access, ovvero dopo il processo di revisione i costi della pubblicazione sono sostenuti esclusivamente dagli autori e il pubblico può accedere liberamente a queste ricerche. Il fenomeno delle riviste open access ha per certo favorito la diffusione del pensiero scientifico (l’accesso a un articolo, se non si appartiene a un ente universitario o ospedaliero, costa in media 40 euro), ma ha tuttavia un lato oscuro: è diventato possibile pubblicare qualsiasi cosa, basta pagare se l’editore ha pochi scrupoli. Non tutte le ricerche scientifiche hanno quindi lo stesso valore. Inoltre i risultati di una ricerca non coincidono con la verità assoluta, ma sono piuttosto un contributo di avvicinamento a questa, non dimenticando mai la verità verità è una meta sempre un passo avanti a noi.

Sui problemi della ricerca scientifica si potrebbe continuare a lungo e tutto porterebbe a far intendere come sia necessaria avvedutezza e esperienza per interpretare un dato scientifico. Ma allora come è possibile muoversi nella selva della produzione scientifica che, a prescindere dalla sua qualità, si può fregiare del feticistico marchio della «scientificità»? Come possiamo fare se non siamo esperti nell’analisi del valore metodologico di una ricerca e desideriamo in ogni caso avvalerci, con onestà intellettuale, dei dati scientifici per valutare se la nostra tesi vi trova qualche conferma? Dobbiamo, innanzitutto, conoscere l’impact factor della rivista su cui è pubblicata la ricerca. Questo è un indice che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno rispetto agli articoli pubblicati su una certa testata nei due anni precedenti. Più è alto l’impact factor e più è scientificamente autorevole la rivista. A oggi la misura dell’impact factor è il criterio più rigoroso e fruibile di cui disponiamo quando dobbiamo decidere quanto credito dare ai risultati di una ricerca.

Vi faccio un esempio. A dispetto del nome altisonante, il Journal of the Royal Society of Medicine ha un impact factor piuttosto basso (2.185, anno 2016) se confrontato con quello del Journal of the World Psychiatric Association (che è di 26.561, anno 2017). Ciò significa che i requisiti di scientificità richiesti, ma anche la severità dei revisori, per pubblicare sul Journal of Royal Medicine sono più bassi che non sul Journal of the World Psychiatric Association e che le scoperte pubblicate sulla prima testata devono essere, più che nella seconda, considerate indicative (anche se non certe e comunque necessitanti di ulteriori studi che confermino i risultati preliminari ottenuti). Perciò una ricerca scientifica è tale non perché produce una verità assoluta, ma in quanto si attiene a una «metodologia scientifica», che si declina in un minore o maggiore rigore di cui l’impact factor della rivista su cui è pubblicata è un indicatore. Ne deriva che misurare la validità di una ricerca scientifica è atto complesso, anche per i professionisti, tanto più che ogni studio, per quanto ben condotto, getta solamente un po’ di luce su una complessità mai pienamente attingibile, almeno in campo psichiatrico.

Una ricerca può quindi rinforzare o indebolire una nostra tesi, ma bisogna saperne distinguere il valore scientifico e i suoi risultati non dovrebbero mai essere ricercati con l’utilitaristico fine di puntellare o certificare un’idea. La scienza non è ancella dell’ideologia, piuttosto è l’ideologia che deve con rigore confrontarsi con il dato scientifico perché non si precipiti, come spesso accade, nell’uso non scientifico della scienza.

CR