«Sono soddisfatto della mia vita ma vorrei pentirmene»

«Sono soddisfatto della mia vita ma vorrei pentirmene.» Lo dice il protagonista di Sostiene Pereira, godibilissimo romanzo di Antonio Tabucchi che vinse il premio Campiello nel 1994. Tabucchi sintetizza la torsione esistenziale di un uomo timido, riflessivo e abitudinario, soddisfatto della sua vita e al tempo stesso di questa prigioniero.

La frase è intrigante perché racconta di quell’insoddisfazione esistenziale propria di coloro a cui nella vita non è andata poi troppo male. È così, anche quando le cose vanno per il verso giusto non ci si può esimere dal gustare il sapore agroamaro dell’incompiutezza dell’esistenza: qualcosa manca sempre. Non mi riferisco qui ai rimpianti, ma a ciò che manca perché potrebbe esserci e pure non c’è. Una certa potenzialità che non trova modo di esprimersi e a cui noi stessi sbarriamo l’accesso, non senza sperimentare quel pentimento di cui parla appunto il Dr. Pereira. Iniziamo dal “sono soddisfatto della mia vita…”, questa soddisfazione deriva dall’identificazione con gli imperativi sociali; dal flusso di abitudini che consente alla nostra esistenza di procedere senza intoppi; da un favorevole accumulo di beni; dalla moltiplicazione delle occasioni di piacere; dal compiacere alla morale comune o ancora dal saper rispondere alle esigenze degli altri.

Chi sa volgere le cose in questo modo è una persona mediamente soddisfatta della sua vita. Eppure, come dicevamo, anche in tale favorevole condizione accade di assaporare il gusto amaro dell’inautenticità dell’esistenza, del tradimento di qualcosa che ci riguarda. Qualcosa ci manca, e di ciò ci si pente.

Ma che cos’è che manca? Manca la parte di noi che abbiamo dovuto tacitare per realizzare le belle cose di cui oggi ci compiacciamo. Manca una parte delle nostre inclinazioni, la quota rimossa del nostro desiderio e quindi una parte di verità su noi stessi. Tutto messo a tacere, perché altro c’era da fare. Questa è l’origine del pentimento cui fa cenno il Dr. Pereira che, come accade a noi, indietreggia rispetto all’assunzione piena del proprio desiderio. Anziché diventare ciò che siamo, ci allontaniamo dalla verità del nostro desiderio. Ci mettiamo al servizio di obiettivi che, una volta raggiunti, percepiamo come inautentici e la stessa vita ci appare perciò manchevole. E per quanto ci si impegni a sottovalutare il senso di colpa sotteso a questo «crimine», per quanto si ignori e si calpesti la verità del proprio desiderio, questo ritorna in superficie manifestandosi sotto forma di sintomo o di generica insoddisfazione esistenziale. Si tratta di un avvertimento, un monito che ci ricorda che abbiamo tradito noi stessi pur ottenendo successo nelle cose che abbiamo fatto.

Che cosa fare? Rassegnarsi alla vita a cui ci siamo consegnati e che ci siamo costruiti, una vita che ci rassicura e ci opprime al contempo, archiviando l’aspirazione ad essere sé stessi. La vera colpa, dal punto di vista soggettivo, non consiste nella trasgressione delle leggi, ma nel rinunciare ad assumersi la responsabilità del proprio desiderio, nell’allontanarsi da ciò che si è davvero. Ma per far ciò serve coraggio, perché incontrare la verità spesso inconscia del nostro desiderio è un’esperienza traumatica. Nella vita di tutti i giorni siamo come addormentati, in preda alla routine che ci consente di vivere senza troppi intoppi, ma l’incontro con il reale del nostro desiderio inconscio ci costringe a fare i conti con la sua l’inadattabilità al nostro sistema di adeguamento passivo alle funzioni, ai ruoli e alle maschere della società. Incontrare il desiderio inconscio impone una trasformazione della propria vita, che siamo tentati di respingere perché troppo rischiosa. Si tratta di disfarsi di un ordine preesistente per instaurarne un altro che in qualche modo scardina gli assestamenti conquistati nel tempo con fatica. Ci vuole coraggio e quindi la tentazione più comune è di continuare a dormire immersi nella realtà ordinaria, anche al prezzo di masticare l’amaro dell’insensatezza della vita esclusa dalla verità del suo desiderio inconscio.