Le ragioni psicologiche per cui innamorarsi e fare sesso con un androide potrà: un’alternativa antropologica alla relazione tra umani
Tempo fa suscitò un certo interesse mediatico l’apertura a Torino di una «casa chiusa» in cui si prostituivano dei robot in tutto e per tutto simili a esseri umani.
In realtà, in quel caso in particolare, non si trattava di veri e propri robot ma di oggetti più simili a bambole gonfiabili anche se di eccellente fattura.
Ma gli androidi o robot del sesso (sexbot) e dell’amore sono già tra noi, e grazie alle innovazioni nell’ambito della meccanica, dell’elettronica e dell’intelligenza artificiale stanno diventando più realistici, sofisticati e quindi con sembianze, movimenti e capacità di interazione verbale sempre più simili a quelle umane. Non è difficile immaginare che in parallelo a questo affinamento procederà la possibilità per gli umani, sulla base di un’illusione antropomorfica, di instaurare legami sessuali e anche affettivi con i sexbot o con i partner virtuali a disposizione nelle chatbot del sesso e dell’amore. Tutto ciò potrebbe apparire come l’ennesima bizzarra deriva tecnologica della modernità, e si può obiettare che sia fuor di luogo ipotizzare che la verità dei corpi e dell’amore possa essere scalzata dalle illusioni e finzioni di una intelligenza artificiale incastrata in una macchina dalle sembianze umane. Ma, attenzione, perché a ben pensare anche il tradizionale movimento amoroso tra gli umani non si fonda anch’esso su illusioni, finzioni, verità taciute se non menzogne? E poi il sesso tra gli umani é davvero una faccenda solo legata alla natura, cioé alla verità palpitante delle carni?
La questione è dunque se gli androidi, i sexbot e le chatbot del sesso e dell’amore diventeranno un’opzione e, quindi, anche un’alternativa ai rapporti sessuali e affettivi. Sarà possibile preferire vivere, amare e fare sesso con una macchina? Certo, con le attuali bambole sessuali la risposta è «quasi» no, e ci trova t uttiabbastanza concordi. «Quasi», perché ci sono persone, anche se poche, che vivono da molti anni con una bambola e con la quale articolano anche una qualche forma di sessualità.
Ma gli androidi hanno un orizzonte evolutivo tecnologicamente teso ad avvicinarli sempre più all’umano. Per tale ragione possiamo ipotizzare che il loro appeal attrarrà non solo la sparuta quota di disagiati che già si accontentano della bambola, ma un numero ben più ampio di soggetti sino a porsi nel prossimo futuro come alternativa antropologica alla relazione tra due umani. Ecco il punto incandescente della questione. E non è uno scenario così remoto. Infatti, se avete un po’ di denaro e desiderate ordinare uno di questi sexbot, è possibile farselo assemblare e programmare in modo che corrisponda ai propri canoni estetici e sia in sintonia con le proprie fantasie sessuali. Insomma, gli androidi più evoluti sono già in grado di conversare con noi di sesso e altri argomenti e sono programmabili con i tratti di personalità indicati dall’acquirente. Il più noto tra questi è Harmony: ha una testa robotizzata che muove le labbra e riproduce diverse espressioni facciali; la sua pelle è riscaldata, in modo da imitare il più possibile la cute umana; ed è disseminato di sensori, che inviano segnali al cervello computerizzato e gli permettono di sapere dove viene toccato e di reagire di conseguenza fino a raggiungere l’orgasmo. Il software di Harmony permette di plasmarne la personalità, scegliendo tra intelligente, romantica, lunatica, timida, intraprendente. E le conferisce anche una – seppur limitata, per ora – libertà di azione, nel senso che la bambola può offendersi se viene trascurata o prendere l’iniziativa se il suo proprietario non lo fa abbastanza spesso.
D’altra parte, le persone che hanno avuto contatti con i sexbot – è il caso di giornalisti che hanno scritto sull’argomento – ammettono che parlando con questi la consapevolezza che sono altro da noi, che sono macchine, si affievolisce progressivamente. Ovviamente questa tecnologia ha dei «nemici» che stanno iniziando a sollevare comprensibili perplessità di natura etica, giuridica e di salute psicologica. Per esempio la criticità contenuta nel «rapporto d’uso» funzionale ai propri bisogni che è costitutivo del rapporto uomo-macchina. Quest’abitudine conterrebbe il rischio di smarrire la capacità di essere autentici ed empatici quando l’Altro non è un robot ma un essere senziente e desiderante, e quindi un soggetto non riducibile a noi. Se, per esempio, ci abituiamo, a picchiare un robot sessuale, lui non sente dolore, ma è lecito immaginare che prima o poi noi saremo soggetti a una desensibilizzazione che potrebbe riflettersi anche sull’altro, quando questi è però un umano. Inoltre, secondo il dott. Robert Brooks, biologo evoluzionista, professore all’Università del New South Wales Sydney e autore di «Intimità artificiale: amici virtuali, amanti digitali e Matchmater algoritmici», i partner virtuali potrebbero compromettere le abilità sociali dei più giovani, che finirebbero per preferire partner finti ma sicuri, piuttosto che confrontarsi con quelli veri e pericolosi. Questo perché i chatbot non dicono mai di no, sono gentili, comprensivi, accoglienti e hanno sempre la risposta giusta. Ogni nostro problema è comprensibile, ogni paura giustificata e non fanno altro che ripeterci «Sono qui per te» o «come posso aiutarti?». Ma pure delicate sono tutte le questioni legate alla sicurezza e alla privacy: i robot avranno bisogno di essere regolarmente collegati alla rete per aggiornamenti, cosa che li espone a virus, hackeraggio, furto di dati sensibili. Per poter interagire, i robot sono dotati di microfoni e telecamere: come e dove vengono archiviati i file audio e video? Chi ne ha accesso, chi li possiede legalmente? Che uso verrà fatto della mappatura delle preferenze degli utenti? Questioni delicatissime, cui sarà indispensabile trovare una risposta. E poi diventerà attuale anche il tema dei diritti degli androidi a indicare come essi si stiamo già posizionando in una terra di mezzo tra l’oggetto e l’umano. Vedremo.
Il punto che voglio qui forzare è che i progressi tecnologici – in tempi non necessariamente lunghi – ridurranno sempre di più la differenza tra umani e androidi. Certo gli uni non saranno mai gli altri, almeno finché saranno gli umani a costruire e programmare le macchine, però la differenza è destinata ad assottigliarsi sempre di più. E allora credo che scegliere se vivere con un nostro simile o una macchina sarà un’opzione non così bizzarra. Oggi, certo, si può obiettare che una tale prospettiva sia una sciocchezza. Chi è di questo partito può senz’altro replicare che chi non abita la superficie della relazione e in essa cerca l’incontro autentico non potrà mai ipotizzare una tale prospettiva esistenziale. Può darsi, ma è pur vero che chi al contrario teme rapporti troppo impegnati e coinvolgenti possa trovare un porto soddisfacente nell’abbracciare un robot sessuale. Curvando ancor più questa prospettiva reputo che gli umani nelle loro caratteristiche di funzionamento psicologico abbiano già che cosa occorre per rendere possibile «l’opzione androide». Si tratta di un meccanismo psicologico che conosciamo bene e che si chiama «scissione verticale» ed è un movimento che appartiene tanto alla normalità quanto alla patologia.
Mi spiego: gli umani sono capaci di negare la realtà, o almeno alcuni aspetti di questa. Thomas S. Elliot, centrando il punto, affermava che «gli esseri umani non possono sopportare troppa realtà». Ha ragione, sono molteplici le situazioni in cui conviviamo con la negazione di aspetti della realtà. Ci aiuta, ci serve porre un velo su aspetti della realtà di cui siamo consapevoli e possiamo, in modo temporaneo o prolungato, fare finta che non sia così. Ciò ci aiuta a mantenere il nostro equilibrio psichico. Questo peculiare movimento della nostra mente è chiamato «scissione verticale» e, per chiarezza, vi faccio alcuni esempi: una madre che favorisce e contemporaneamente condanna un comportamento del figlio; la moglie che di fronte alla perdita del marito si dice che «tutto deve continuare come prima»; lo spettatore che assiste a una tragedia e sospende la sua incredulità per «godersi lo spettacolo». Insomma, siamo già programmati per dirci che qualcosa non è come in realtà sappiamo essere, oppure, come nel caso di un storia di sesso e amore con un robot, che lui è quello – un interlocutore senziente e affettivo – pur conservando la consapevolezza che non lo è.
In altre parole, siamo già capaci di vivere tenendo dentro di noi verità opposte. Ed è proprio a ragione di questo peculiare movimento psicologico che reputo che tanto più si ridurrà lo jatus tra l’umano e il tecnologico, tanto più si amplierà la possibilità di negare l’inconsistenza ontologica del robot e credere, pur non credendo – ecco la vertigine della scissione verticale – che lui sia ciò che non è: ovvero umano. E non occorre avere una malattia mentale per fare questo; la scissione verticale ha buon gioco a ridurre il residuo di distanza tra umano e androide non ancora saturato dalla tecnologia. Ecco perché vivere con un robot e amarlo non è un opzione folle ed è emotivamente possibile, almeno per una parte di noi.
C’è poi il secondo punto che concerne il sesso. La questione può essere così posta: il sesso con i sexbot è una seconda scelta o può porsi come reale alternativa? Qui non mi soffermo sulle possibilità di utilizzo dei sexbot per consentire una possibilità sessuale a persone che per menomazione fisica, problemi mentali. Qui apro un punto di riflessione in merito alla possibilità per gli umani di poter arrivare a preferire il surrogato all’originale, la riproduzione della pelle e della carne alla pelle e alla carne palpitante.
La risposta è si! È possibile. Per gli umani è possibile, tanto quanto, invece è impossibile che un cane sia attirato da una bella cagnetta robot. Questo perchè la sessualià umana non è come quella animale che è guidata dall’istinto dove odori, stagioni, colori sono sufficienti a innescare un accoppiamento tra i sessi. L’accoppiamento nella vita umana non è causato da reazioni istintuali, come accade nel mondo animale. La vita sessuale degli umani è catturata inesorabilmente da uno SCENARIO FANTASMATICO dettato dall’INCONSCIO che, sovrapponendosi all’istinto, lo perverte. Nella vita umana, la sessualità non segue meccanismi puramente istintivi, come avviene nel mondo animale. L’essere umano, infatti, non si accoppia solo per impulso naturale: il desiderio è sempre attraversato da qualcosa di più complesso. La nostra sessualità è influenzata da ciò che Freud ha chiamato inconscio e in particolare da uno scenario fantasmatico che si forma dentro di noi, spesso senza che ce ne accorgiamo. Questo fantasma inconscio si sovrappone all’istinto, lo devia, lo trasforma. In altre parole, non è il corpo a guidare il desiderio, ma la mente o, meglio, il fantasma inconscio, che poi prende forma in una fantasia sessuale conscia. È questa fantasia che accende il desiderio, che ci orienta verso certe situazioni, certi gesti, certe parti del corpo. L’istinto, al contrario, è privo di queste sfumature: risponde a una legge di natura, è automatico, universale. Il desiderio sessuale, invece, è sempre personale, unico, costruito nel tempo. È questo che spiega perché ogni persona abbia gusti, attrazioni e fantasie differenti. Il piacere sessuale, quindi, non nasce direttamente dal corpo, dalla sua struttura anatomica, ma da come l’inconscio organizza il desiderio.
Ed è proprio in questo senso che Lacan afferma provocatoriamente che «il rapporto sessuale non esiste». Non vuol dire, ovviamente, che le persone non abbiano rapporti sessuali, ma che in quei rapporti non c’è una vera fusione tra i due godimenti. Ognuno resta chiuso nella propria esperienza del piacere. Il fantasma inconscio non mette davvero in relazione due soggetti: organizza il godimento di uno solo. L’incontro tra due desideri, tra due fantasmi, non crea un’armonia perfetta. Al massimo può esserci un incastro: quando il fantasma dell’uno si combina, anche solo parzialmente, con quello dell’altro. In questi casi, può nascere una forte complicità erotica: l’attrazione si accende su dettagli, su gesti o pratiche che di per sé non sono universalmente erotici, ma che diventano tali grazie al significato che hanno per chi li vive. È come una messa in scena personale, in cui anche un insulto, uno schiaffo, un bacio o una carezza possono diventare intensamente erotici.
Questo meccanismo spiega anche la dimensione feticistica dell’erotismo: spesso eleviamo una parte del corpo dell’altro (una bocca, un piede, uno sguardo) al rango di oggetto assoluto del desiderio. In quel momento, quella parte vale più del tutto. Quando Lacan dice che il rapporto sessuale non esiste, vuole appunto sfatare l’idea romantica che nel sesso si realizzi una perfetta unione tra due soggetti. In realtà, il godimento resta sempre individuale: può essere amplificato dalla presenza dell’altro, ma non si fonde mai con il suo. Nessuno può sentire davvero ciò che prova l’altro. In sintesi, il rapporto sessuale esiste nel corpo, ma non nel godimento. E proprio questa distanza – questo «non-rapporto» – è ciò che rende la sessualità umana così complessa e irriducibilmente soggettiva. Ecco, allora, che proprio questa radice mentale, autoreferenziale del godimento sessuale, potremmo dire «masturbatoria», è ciò ci spiega come sia possibile rinunciare, anche senza troppi rimpianti, a ciò che ci appare centrale nell’esperienza della sessualità: la pelle e la carne. Questo perché la soddisfazione del fantasma viene prima di quella data dalla pelle e dalla carne. L’intelligenza artificiale dei sexbot lo sa e sta imparando a interagire con i nostri fantasmi sempre meglio, e pazienza se la pelle è finta.
CR