La scelta di non scegliere

Dove è la «sostanza» delle persone oggi? Quando ci sentiamo soggetti compiuti? Due secoli di lotte per raggiungere la libertà di scegliere chi amare, che lavoro fare, che cosa consumare, dove vivere e chi votare hanno reso la libertà di scegliere la pietra angolare della nostra soggettività compiuta. Ma è ancora così? Forse no. Partendo dal mio parziale punto di osservazione, che sono le vicissitudini sentimentali e sessuali dei pazienti, osservo che la libertà, compresa quella sessuale, è percepita come un diritto, indubbio e indubitabile, che però non partecipa più al consolidamento delle identità personali. Si va in piazza a battersi per la libertà di poter scegliere di essere quello che si vuole, a prescindere dal sesso biologico, ma questa – a ben guardare – è già una battaglia vinta e così non si centra il punto, per lo meno quello dell’«essere», perché per dare consistenza al nostro essere stiamo già facendo altro. A questo scopo si è prestata una singolare torsione della concezione di libertà che sembra avere la sua forma compiuta nel diritto a non impegnarsi nelle relazioni, poiché la scelta di annullare la scelta, come sostiene Eva Illouz, è divenuta una modalità dominante della soggettività moderna. Legarsi senza impegno, consumare relazioni in modo seriale, credere che la relazione migliore sia sempre la prossima, percepire il legame amoroso come una riduzione della personale libertà, concepire la fedeltà sessuale come un’intollerabile residuo di una moralità bigotta, ecco alcuni dei modi attraverso cui si declina la libertà di scegliere di non scegliere, che ci induce quindi, a divorziare con facilità e anima nuove forme di socialità affettiva e sessuale, quali le relazioni multiple parallele (poliamore) o lo scambio di coppia, che in una sorta di equilibrismo affettivo/sessuale induce le coppie ad aprirsi a terzi in modo da scegliere consensualmente di non scegliere la fedeltà dei corpi. Emanciparsi dal nodo scorsoio dell’impegno consente oggi la percezione di un recupero di soggettività. Ma l’altra faccia, quella livida, della scelta di non scegliere è quella del nomadismo affettivo che esita, non di rado, nella più dolente solitudine.  

CR