Cosa accade nel tradito un attimo dopo la scoperta del tradimento?

All’alba della scoperta, subito e senza intenzione, l’assetto relazionale muta. Il tradito dolente e furioso cessa di essere persona e diviene verbo, un participio passato appunto. Non più moglie o marito, ma in essenza solo un «tradito». La soggettività del prima (del tradimento) cede il passo a una sua riduzione. Avviene nel tradito una sottrazione di soggettività. Questa – la soggettività – stordita dal fragore della scoperta si ritrae in un coagulo di rabbia/dolore, aspettativa di risarcimento e una deriva paranoide di variabile intensità. La rabbia e il dolore sono figlie della paura: che cosa accadrà adesso?

L’aspettativa di risarcimento è, invece, un’illusione in cui ci si intrappola. Si attende una parola, un gesto che abbia il potere taumaturgico di cancellare l’accaduto: impossibile! La deriva paranoide rilegge il passato della relazione con la lente del sospetto e con la stessa lente ne scruta il futuro. Ma dove è la possibilità per una relazione in cui la fiducia è esaurita? Ecco lo scacco del tradito, non il tradimento, ma il suo ridursi in una posizione innervata dall’aspettativa e dalla paranoia intrisa certo di dolore, ma fondamentalmente ipocrita. Sì, perché a ben guardare esiste un copione culturale inossidabile che conferisce al tradito la patente di vittima e ogni tradito ben volentieri si presta a rappresentarlo. Il tradito si accomoda sulla poltrona della ragione che è scomoda, ma è pur sempre una poltrona, e lì assiso soffre in attesa del risarcimento impossibile, si accende di furia nella metodica analisi dei segni non colti del tradimento avvenuto, ma soprattutto attua la rinuncia ipocrita del suo ruolo personale nella determinazione del tradimento, che è sempre, al fondo, un prodotto della coppia. Ecco la colpa del tradito: conferire al dolore e alla rabbia lo status di diritto e con ciò rinunciare a un’assunzione di responsabilità. La clinica insegna che è preferibile soffrire come vittima piuttosto che come artefice o compartecipe della propria disgrazia. Insomma, ci si accomoda sulla poltrona dell’ipocrita presunzione di innocenza e ci si crogiola nella sofferenza. E’ una posizione di comodo, bisogna dirlo, di attesa, che esime il tradito dal movimento decisivo del coraggio della propria verità. Un movimento in cui l’attenzione del tradito dovrebbe disporsi a una torsione audace che faccia luce sulla quota di desiderio e investimento che lui stesso ha sottratto alla relazione, lasciandola esposta. Questo movimento è ciò che consentirebbe di avviare una produttiva dialettica con il traditore. In assenza di questo movimento il tradito e il traditore si irrigidiscono in una dialettica sbilanciata dove la richiesta di perdono e i tentativi di recupero del traditore non sortiscono che l’effetto di accentuare la rabbia del tradito. Certo, pare una beffa che il tradito debba dislocarsi dal seggio della ragione, ma occorre la verità del «due» per poter scommettere ancora una volta sulla coppia.

CR