Sui generi e sul femminicidio

Il patto tra i generi è saltato, è saltato ormai da tempo e una nuova logica del femminicidio è, ritengo, uno dei suoi frutti velenosi. Il femminicidio è storicamente una deriva della cultura patriarcale, ma ora sembra scaturire da una singolare convergenza della cultura dominante, refrattaria a ogni limite, con soggetti in cui la coesione psicologica coincide con la necessità di rispecchiamenti relazionali continui e allergici all’impegno e al confronto limitante.

Mi spiego: l’emancipazione delle donne ha una storia recente, ma è progredita con velocità sotto le insegne dell’uguaglianza, dei pari diritti. Nessuno può sostenere che in linea di principio ciò sia un male, bisogna però tenere in conto che il patriarcato, odioso nel suo indicare e sostenere la superiorità di un genere (quello maschile), assegnava ai generi ruoli precisi, quasi immutabili e dispari che, certo, possiamo considerare oggi privilegio per gli uomini e prigione per le donne, ma conferivano un certo ordine nella intricata selva delle relazioni tra i generi. Ognuno aveva il suo posto, certo non troppo discutibile, ma in compenso non era né da conquistare né da difendere, era dato. In un tale contesto ci poteva essere prevaricazione, ma non guerra. Oggi, invece, i generi sono in guerra. Non perché l’abbiano dichiarata, piuttosto perché l’eclissi dei ruoli di genere ha creato spaesamento e necessità di continue ridefinizioni (spesso aggressive) all’interno delle diadi relazionali. Un lavoro estenuante, guidati solo dalla bussola impazzita del pensiero dominante che celebra l’utopia dell’uguaglianza. Come si può essere uguali se uomini e donne sono così diversi nella loro attitudine psicologica e nel loro assetto ormonale? Non è possibile. Ma non potendo tornare indietro abbiamo le conversioni gay tardive, abbiamo le identità «fluide», abbiamo il rifiuto delle relazioni impegnate, troppo appesantite dall’impegno definitorio. Quando poi i più fragili – quegli uomini che sono imprigionati nello specchio di una relazione psicologicamente necessaria per mantenere una sufficiente coesione soggettiva – incontrano una compagna che in linea con la modernità si impegna nel confronto identitario, lì si crea un tragico fraintendimento. Lei combatte una battaglia di identità, lui una battaglia per la sua sopravvivenza psicologica. Se non si comprende lo scarto dei piani sui cui ci si confronta si inizia a ballare sull’abisso della tragedia.   

CR