Paura di volare: capirla e affrontarla
Siamo in estate, il tempo delle vacanze. E per molti, vacanza significa anche viaggio in aereo. Ma, per alcune persone, l’idea di salire su un aereo non evoca leggerezza o avventura, bensì ansia, tensione, a volte puro terrore. Parliamo della paura di volare, o «aviofobia», una delle fobie specifiche più comuni. Dal punto di vista psicodinamico, la paura di volare può essere letta come una perdita del controllo, una resa simbolica al vuoto e all’ignoto. Volare implica affidarsi a un Altro, il pilota, la macchina, le leggi della fisica. Inconscio e simbolico si incontrano: l’aereo rappresenta la separazione, il distacco dalla terra-madre, il confine tra contenimento e abbandono. In alcune persone, soprattutto con una struttura fobica o ansiosa, l’aereo diventa il teatro della riattivazione di antiche angosce: paura di morire, perdere il controllo, impazzire. Volare toglie punti d’appoggio e, per chi ha bisogno di tenere tutto sotto controllo, questo è intollerabile. Ma non tutte le spiegazioni devono passare necessariamente per la via simbolica. Esistono anche ipotesi eziologiche cognitive e comportamentali. La paura può essere appresa, per esempio da un’esperienza negativa passata (una turbolenza, un atterraggio brusco), oppure da racconti, notizie di incidenti, immagini traumatiche. In altri casi, è una generalizzazione di un’ansia più diffusa, come nel disturbo d’ansia generalizzata, o una fobia legata agli spazi chiusi («claustrofobia»), alle altezze o al distacco. A livello diagnostico, può rientrare in una fobia specifica situazionale, ma va sempre contestualizzata: per alcune persone è solo l’aereo a scatenare l’ansia; per altre è solo un sintomo tra altri.
Che cosa si può fare?
La prima cosa è non banalizzare la paura di volare. Dire «non ti succede niente» a chi ha paura dell’aereo è spesso inutile, se non controproducente. La persona sa razionalmente che volare è sicuro, ma il corpo non ascolta la ragione. Serve un lavoro integrato tra psiche e corpo, emozione e cognizione.
Sul piano psicoterapeutico, i trattamenti più efficaci a breve termine sono quelli di tipo cognitivo-comportamentale (esposizione graduale, desensibilizzazione, tecniche di rilassamento), ma in una prospettiva più profonda, anche la psicoterapia psicodinamica può aiutare a comprendere e trasformare il significato della paura.
Tuttavia, in prossimità di un viaggio imminente, non sempre c’è il tempo per affrontare un percorso terapeutico strutturato. E qui può entrare in gioco l’intervento farmacologico mirato e a breve termine, sempre sotto prescrizione medica.
Nelle situazioni acute, le benzodiazepine a breve emivita come il lorazepam o l’alprazolam possono essere utilizzate per contenere l’ansia anticipatoria o gestire il volo stesso. In alcuni casi, se la paura è anticipata da giorni di insonnia o agitazione, il medico può optare per una benzodiazepina a lunga emivita, come il diazepam, da assumere prima del viaggio. Sono farmaci efficaci, ma vanno utilizzati con cautela per evitare dipendenza e solo per periodi molto brevi.
Un’altra opzione, meno sedativa, è rappresentata da propranololo, un betabloccante che agisce sui sintomi fisici dell’ansia (tachicardia, tremori, sudorazione) e può aiutare chi sperimenta ansia somatica durante il volo.
In alcuni casi selezionati, per soggetti già in trattamento psichiatrico, si può fare ricorso a una titolazione del farmaco in uso o all’introduzione temporanea di ansiolitici, ma solo previa valutazione specialistica.
In sintesi, la paura di volare è un disagio serio, che ha radici profonde ma che può essere affrontato. Le soluzioni esistono, dal lavoro sulla mente a quello sul corpo. E anche se l’aereo rimane un contenitore denso di simboli, imparare a volare – dentro e fuori – è possibile.
Buon viaggio!
CR